Tuesday, March 16, 2010
MONTE ROSA: Capanna Margherita
Margherita
quota 4559 metri s.l.m
quota 4559 metri s.l.m
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Un saluto calorosissimo a Nadia e Marco che mi hanno sopportato e a Maurizio che mi ha sostenuto.
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.........................[ Il video su: http://www.youtube.com/user/omarmagazine#p/a/u/0/RGN40o-LS1Y ]
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Tutto è cominciato con la lettura di un servizio sulla rivista Bell'Italia che parlava del Monte Rosa.
Leggendo mi assaliva sempre più l'idea di provare a salire oltre i 4.000 metri. Così ho iniziato a fare ricerche sul web... Navigando per vari siti, tutti riportavano che era un'ascenzione non difficile, abbastanza impegnativa dal punto di vista fisico, ma che con un buon allenamento, si poteva fare. Tant'è che il CAI la ritiene un F+, cioè facile (beati loro).
Così ho preso contatto con un'agenzia di Alagna, da dove partono le cabinovie per la via classica, la Lyskamm (http://www.liskammviaggi.com/ ) perchè mi organizzasse il tutto. Ci sono diverse modalità di formare un gruppo per salire: si va dall'essere soli con la guida, ma il costo è veramente alto, fino all'essere disposto ad essere inseriti in un gruppo ed è questa l'opzione che scelgo. Così vengo messo in nota ed aspetto che mi chiamino.
Prendo contatto anche con le Guide di Alagna ( http://www.guidealagna.com/ ), perchè in realtà sono loro che comunicano la formazione dei gruppi e così il 21 luglio ricevo la telefonata che per il 26 e 27 ci sono altri due che vogliono salire e visto che il numero minimo di tre è raggiunto, l'escursione può essere fatta. Ultimi controlli all'abbigliamento e a quello che penso debba essere portato. Gli scarponi li avevo comprati un paio di mesi prima da Decathlon, i forclaz 600, che si dimostreranno ottimi, con un prezzo accessibile.
Gli scarponi devono essere collaudati per non avere sorprese, così ci avevo già percorso un centinaio di km. sulle collina, così mi ero allenato e li avevo ammorbiditi. Mai commettere l'errore di indossarli nuovi durante l'ascesa, si rischiano vesciche e dolori che impediscono di camminare. Poi ho quasi tutto, maglia di pile, pantaloni tecnici di media pesatura (non troppo pesanti), camicia di tessuto tecnico.
Sulla pelle decido di mettere il materiale tecnico con cui correvo, calzamaglia, maglietta a mezze maniche e maglia a maniche lunghe, Nike e Mizuno, che si dimostreranno ottime per la traspirazione, tenendomi caldo e asciutto.
L'abbigliamento va curato perchè in ogni modo ci si trova in un ambiente ostile, con temperature sotto allo zero, ma che in presenza di sole, durante la marcia, fa si che sudi. Inoltre, come è capitato a noi, il tempo può cambiare e bisogna essere pronti a tutto.
E poi occhiali da sole capaci di filtrare il riverbero del ghiaccio, cappellino di lana o di pile, qualcosa per coprire naso e bocca, ricambi di biancheria, perchè se si è molto sudati, arrivati ai rifugi, conviene cambiarsi, se possibile.
Mi manca solo un "guscio", cioe una giacca a vento senza imbottitura che sia impermeabile, stop wind e allo stesso tempo traspirante, tipo con membrana di Goretex, o simile (ci sono ottime pellicole concorrenti, che non ti fanno spendere un patrimonio, tipo il Novadray di Decathlon). Non sapendo se sarei partito o no a causa della possibile non formazione di un gruppo, avevo ritardato l'acquisto.
In due giorni visito tutti i negozi e superstore di articoli sportivi di Livorno. Tanto abbigliamento per il calcetto, ma per la montagna niente di niente. Anzi, mi guardano un po' strano. Neppure dove si può acquistare on line, risulta che in realtà, poi, nei magazzini quello che mi necessità non c'è.
Alla fine trovo una soluzione che quasi mi vergogno a scrivere. Mi ricordo che al mercatino del venerdi (famosissimo a Livorno), c'è un banco che vende giacche di marca: trovo una giacca dell'Annapurna tipo guscio. Non è specifica per la montagna, è da barca, ma è impermeabile, stop wind, traspirante, leggera, cuciture termosaldate ed economica. Anche carina esteticamente. E soprattutto si dimostrerà ottima. E poi luce frontale, coltellino, borraccia metallica da un litro, ghette impermeabili, guanti e sottoguanti da montagna, crema solare (che dimenticherò di dare, scottandomi così il naso) e le immancabili macchina fotografica e telecamera.
Lo zaino è pronto.
Parto la domenica 25 luglio, dormirò al rifugio Vigevano, a quota 2.860 per fare un po' di acclimatamento. Viaggio tranquillo, 5 ore per 420 km.
L'autostrada A26 dei Trafori è molto bella, tre corsie, ampie aree di sosta. Prendo prima per Alessandria, poi proseguo per Gravellona Toce.
All'uscita di Ghemme e Romagnano Sesia esco sulla SS 299. passo Varallo e Pila e alle 13:00 sono ad Alagna.
Passo dall'ufficio delle guide e prendo i ramponi e l'imbracatura. Poi prendo una cabinovia e la funivia del Freeride Paradise (http://www.freerideparadise.it/ -anche situazione meteo ai rifugi) fino al Passo dei Salati. Dalla stazione cammino una ventina di minuti e sono al rifugio Vigevano.
Non avevo mai dormito e neppure sostato in un rifugio di montagna. La camerata ha i letti a castello, i servizi sono nel corridoio, ma è tutto pulito e caldo. E poi sono solo nella camera e nel rifugio c'è poca gente. Ci sono anche i bagni nuovi, con tanto di bidet. C'è anche la doccia calda per tre Euro.
I ragazzi che gestiscono il rifugio sono gentili e affabili. Faccio amicizia con Matteo che opera anche nel soccorso alpino.
La cena è veramente abbondante, polenta concia (con formaggio fuso), un primo di pasta e secondo di maiale arrosto con contorno. Si incamerano calorie!
C'è un gruppetto che fa il giro del Monte Rosa e mi invitano a stare con loro a tavola. Una cosa molto piacevole della montagna è il cameratismo che subito si instaura, si respira molta solidarietà.
Quando dico che il martedi salirò alla Capanna Margherita e che è la prima volta che vado in alta montagna, mi guardano tutti un po' strano, ci sono alcuni che sono anni che vengono su, ma non sono mai saliti fino a quella quota. Non avevo sottovalutato l'escursione, ma mi mettono una leggera ansia. Anche perchè le previsioni che guardo con Matteo, non promettono niente di buono, martedi tempo variabile con schiarite e questo in montagna può significare di tutto.
Dormo tranquillo, la federa la danno loro e non c'è bisogno dei sacco-lenzuoli. La mattina dopo colazione abbondante e doccia calda, non ci sarà più occasione di rifarla fino al ritorno a casa.
Devo aspettare le 3 del pomeriggio quando incontrerò la guida e gli altri miei due compagni di ascesa al Passo dei Salati, così faccio un po' di trekking per fare fiato e a pranzo polenta con cervo.
Il pomeriggio incontro Maurizio, la guida e Nadia e Marco, una coppia di sposini appassionati di montagna con i quali si instaura subito un buon rapporto.
Prendiamo la funivia per Indren e saliamo a 3.200. Da lì dovremo camminare un paio d'ore per arrivare al rifugio Gnifetti a quota 3.647 dove passeremo la notte e che sarà la base di partenza per traversare il ghiacciaio e arrivare alla Margherita.
Ho il primo impatto con una distesa ghiacciata, ma non impegnativa, tanto che non mettiamo neppure i ramponi, e con una scalata per una via ferrata che in alcuni punti è completamente verticale. La temperatura è buona, tanto che non metto la giacca e anche la maglia di pile deve stare aperta.
Lo Gnifetti è molto affollato, nonostante sia giorno lavorativo. C'è gente proveniente da tutte le parti, tedeschi, francesi e naturalmente italiani.
La camerata è carina, soliti letti a castello, pulita, riscaldata, tanto che la notte dormirò pochissimo anche a causa del caldo che fa sudare e che mi fa gettare via tutte le coperte.
La cena è a self service ed è abbondante, anche buona, compreso anche il dolcetto alla fine.
Come già detto dormo pochissimo, un paio d'ore al massimo ed anche i miei compagni li sento agitati. L'unico che dorme è la guida. Ci alziamo alle 4 e alle 4:30 facciamo colazione.
Lascio al rifugio più della metà della roba che ho nello zaino in modo da avere come peso solo l'indispensabile. Quando gli altri si accorgono che ho portato anche il phon per asciugare i capelli, mi prendono in giro per una decina di minuti... Fuori spolvera un po' di neve, ma sembra sereno, c'è molto vento e la temperatura è bassa, senza dubbio meno di 10, 12 gradi e percepita sarà anche sui meno 18...
Mi sono vestito come previsto, calze di lana, calzamaglia, maglietta a maniche corte, quella a maniche lunghe, camicia, pantaloni medio peso, pile, giacca a vento, ghette, guanti e sottoguanti, cappello di lana. Recuperiamo le borracce che sono state riempite di tè bollente e ci mettiamo i ramponi.
Usciamo. C'è molto vento, ma una enorme luna piena illumina il ghiacciaio rendendo inutili le torce. Sono le 5:20 e iniziamo a camminare su di un leggero declivio. Poi la salita aumenta e passiamo tutta la zona "dei buchi", come la chiama la guida, una zona a ridosso del rifugio dove ci sono numerosi crepacci, alcuni abbastanza grandi e pieni di acqua trasparente che sembrano molto profondi. Seguiamo con attenzione la guida e mentre la pendenza aumenta, quando sulla destra ci appare il Cristo delle Vette, sul Balmenhorn a circa 4.100 metri, il tempo peggiora.
All'inizio è nevischio trasportato dal vento, poi man mano che si avanza, è una vera è propria bufera che ci fa vedere solo ad una cinquantina di metri intorno a noi. La cosa più distante che vediamo è solo una linea d'orizzonte del punto più alto della salita che stiamo affrontando.
Maurizio si ferma e ci chiede se vogliamo continuare. I ragazzi sono molto amareggiati (per usare un eufemismo), io chiedo se c'è pericolo. la guida ci dice che no, non ce ne è. Allora decidiamo di avanzare fino a quella che appare come la linea di orizzonte. La raggiungiamo e pieghiamo sulla destra per il colle del Lys. Nevischia molto meno e la visibilità migliora, anche se il vento rimane forte.
Ho la cattiva idea di cercare di mangiare una barretta energetica. Mi tolgo i guanti per levare la carta e quei 20 secondi bastano a farmi sentire le dita di entrambe le mani semi assiderate. Oltretutto la barretta è immangiabile, è congelata e dura come il legno. Dovevo tenerle a contatto del corpo, anziché nello zaino. Anche il tè è diventato freddo.
Le dita delle mani mi fanno un male cane, provo a chiuderle, batterle, ma niente. Poi Maurizio mi spiega che devo estrarre le dita e fare il pugno, tenendole però sempre dentro ai guanti. faccio così e pian piano la circolazione riprende.
Anche perchè raggiunto il Lys a 4.280, il tempo migliora nettamente. Le nubi scompaiono, la temperatura rimane bassa e il vento teso, ma il sole riesce a mitigare. Attorno a noi vediamo molte altre cordate che avanzano per diverse vie. C'è un sacco di gente, non credevo che di martedi fosse così frequentato.
Riesco a camminare abbastanza bene, nonostante non abbia mai messo i ramponi, la fatica si fa sentire, anche perchè è una salita continua, con diversi strappi dalla pendenza notevole, ma tengo il passo della guida.
Siamo legati in cordata ed è magnifico. Siamo su di un ghiacciaio che probabilmente ha milioni di anni, in un biancore accecante, legati in cordata, che avanziamo oltre i 4.000 metri. Mi sembra di essere in un documentario, anzi, durante la bufera mi sono sentito anche un po' Amundsen, l'esploratore delle regioni polari, quando avanzava coperto di neve. Anche noi avevamo tutto un lato, dove soffiava il vento, coperto di neve, dal viso ai piedi.
Scherzi a parte, sulla sinistra ci appare il Liskamm completamente bianco di neve e ghiaccio ed è magnifico. Pieghiamo ancora a destra e ormai la Punta Gnifetti si avvicina.
Siamo sui 4.400 metri. Poi ci appare la Capanna Regina Margherita, come un nido d'aquila sulla cima della Punta Gnifetti.
Ci sono ancora degli strappi di salita che ci mettono a dura prova, ma alle 11:30, dopo 6 ore di marcia, siamo sulla terrazza del rifugio.
Ce l'abbiamo fatta. Siamo sul rifugio più alto d'Europa.
Siamo a 4.559 metri, come riporta la carta turistica della Valsesia edita dalla regione Piemonte ed alla quale ho fatto riferimento per tutte le quote di altitudine (prima foto).
Restiamo una mezz'ora per riposare e mangiare una fetta di dolce (7 euro, ma è normale, tutti i rifornimenti vengono portati con l'elicottero).
Il vestiario ha tenuto bene, addosso e i piedi non ho avuto freddo e sono perfettamente asciutto. La giacca si è dimostrata ottima, così come gli scarponi. Facciamo qualche foto e due riprese.
Sulla destra il Cervino si staglia nella sua inconfondibile sagoma, una corona di vette ci circonda e noi siamo più in alto di tutte.
Iniziamo a scendere perchè l'ultima corsa della funivia è alle 16:00 e ci dobbiamo affrettare, il cattivo tempo iniziale ci ha rallentato e ora dobbiamo recuperare.
Con il sole è tutta un'altra cosa, panorami incredibili, cime innevate, conche immacolate... Anche in discesa la fatica si fa sentire. Certo è che dalle 4:30 non mangiamo, se non quel pezzetto di torta e anche bere, non abbiamo bevuto molto.
Comunque scendiamo e rimango ancora più sorpreso nel vedere quante altre cordate ci sono oltre a noi. C'è chi scende, chi invece sale e probabilmente passerà la notte alla capanna, chi scende da altri versanti. a mio avviso ci saranno un centinaio di persone, forse più.
Va tutto bene fino a quando non vediamo il Rifugio Gnifetti, ad un 500 metri in linea d'aria da noi, siamo nella zona dei già citati buchi, i crepacci e quindi zona di massima attenzione, quando, improvvisamente, mi cedono entrambe le ginocchia.
Avverto un forte dolore ad entrambi le rotule che mi impedisce di camminare, riesco a stare in piedi solo nei brevi tratti semipianeggianti.
Probabilmente non ero allenato a discese così lunghe e con i ramponi, per cui le cartilagini delle rotule hanno subito frizioni inusuali ed è sopraggiunto il dolore.
A denti stretti e perdendo molto tempo raggiungiamo il rifugio. Maurizio decide che mentre lui accompagnerà gli altri due giù, io passerò la notte lì e poi lui tornerà su per accompagnarmi il giorno dopo.
Dallo Gnifetti alla stazione della funivia c'è ancora una bella marcia e soprattutto c'è da scendere la via ferrata e con i ginocchi così è meglio non rischiare.
Inoltre poco male, avevo previsto di dormire comunque ad Alagna, quindi si tratta solo di una diversa sistemazione. Prima dell'ora di cena Maurizio è di nuovo al rifugio. Io mi sento gia meglio, ma per sicurezza prendo anche un antidolorifico e poi a nanna.
Il giorno dopo è bellissimo, riprendiamo a scendere e facciamo una via nuova, più lunga, ma meno impegnativa, anche se le ginocchia non mi fanno male, come avevo pensato era solo dolore dovuto alla posizione tenuta nella discesa. Davanti a noi si vede benissimo il Monte Bianco, illuminato perfettamente, sulla sinistra il Gran Paradiso. Scendiamo al rifugio Mantova e di lì all'Indren, dove alla stazione della funivia mi aspetta un'ultima sorpresa, un gruppo di stambecchi che pascolano tranquilli a pochi metri dalla costruzione. Da qui si torna nella cosiddetta civiltà e l'unica fatica che ancora mi aspetta sono i 420 km. per arrivare a casa.
Comments:
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descrizione fantastica, sembra quasi di essere lì con voi. complimenti.
settimana prossima tocca a me :)
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settimana prossima tocca a me :)
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